Empoli e D’Annunzio: una storia di amore e odio

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Veduta di Empoli con in primo piano il campanile di Santo Stefano degli Agostiniani. (Coll. Maestrelli, 20106)
Veduta di Empoli con in primo piano il campanile di Santo Stefano degli Agostiniani. (Coll. Maestrelli, 20106)

17 giugno 2015, prima prova della maturità. Mentre impazza il toto-autori del tema, penso che proprio in questo giorno ricorre l’anniversario della composizione di una delle più belle poesie di D’Annunzio, “La sera fiesolana”. La poesia infatti, secondo la datazione offerta dallo stesso poeta, venne composta presso la villa della Capponcina a Settignano il 17 giugno 1899. Malgrado la coincidenza l’autore scelto dal MIUR risulta essere invece Calvino, con un brano estratto dal bellissimo romanzo “Il sentiero dei nidi di ragno”, fondamentale opera sulla Resistenza.

L’ipotesi di D’Annunzio, autore mai scelto per la prima prova della maturità, mi ha spinto a pensare all’incontro tra il poeta e Empoli. Pochi lo sanno, infatti, ma il nome della nostra città ricorre per ben due volte in altrettante opere dannunziane, tutte in prosa. E l’immagine che ne esce è contraddittoria: lusinghiera verso i suoi monumenti e i reperti artistici di valore, molto meno per la città di Empoli in sé. Vediamo perché.

Nel 1912 D’Annunzio si trovava in esilio volontario in Francia. Le spese pazze sostenute durante la permanenza alla Capponcina di Settignano, in cui il poeta aveva soggiornato con la famosa attrice Eleonora Duse, lo avevano costretto dal 1910 a rifugiarsi oltralpe per sfuggire ai numerosi creditori. Questo evento aveva segnato l’ingresso di D’Annunzio nella società artistica francese, di respiro europeo. Il poeta era entrato in contatto con artisti del calibro di Debussy, Ida Rubinstein, Marcel Proust (che lo cita in “Sodoma e Gomorra”, quarto libro della Recherche) e Anatol France. D’Annunzio non aveva tuttavia troncato i rapporti con l’Italia: inviava infatti articoli autobiografici che venivano pubblicati dal Corriere della Sera, raccolti sotto il titolo di “Le faville del maglio”.

Nell’articolo pubblicato il 3 marzo 1912 il poeta citava anche Empoli, ripensando all’incontro artistico con Masolino da Panicale, ammirato a Castiglione Olona (in provincia di Varese) ma prima a Firenze e nel convento di Santo Stefano degli Agostiniani nella nostra città. Ecco il passaggio a cui si fa riferimento:

“L’avevo conosciuto [Masolino da Panicale] nella Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine, fior di giaggiolo chinato sotto la querciosa strapotenza masaccesca, ne avevo ricevuto in cuore tutta la castità della lunetta sopra l’altare in Santo Stefano d’Empoli, ma non avevo tremato di gioia e di meraviglia come dinanzi a quella pallida Erodiade che riceve sulle ginocchia il capo del Precursore seduta sotto la loggia ove le donzelle sbigottiscono. Quivi il colore assumeva il carattere delle apparizioni.”

La visita a Empoli aveva dunque riguardato il patrimonio artistico della città, notato e apprezzato dal Poeta. D’Annunzio negli anni di Settignano aveva girato tutta la Toscana, da Firenze al mare, e ne aveva descritto i luoghi più suggestivi in molte poesie dell’Alcyone: da Fiesole de “La sera fiesolana” a Marina di Pisa ne “La pioggia nel pineto”, dalla periferia fiorentina in “Lungo l’Affrico” fino alla costa settentrionale toscana nella poesia “Versilia”.A Empoli, tuttavia, il poeta riserva in un’altra sua opera un giudizio poco lusinghiero. La città viene citata infatti anche nel romanzo più riuscito di D’Annunzio, ossia “Il Piacere” edito nel 1889. Siamo all’inizio dell’opera, Andrea Sperelli è un giovane dandy che vive a Roma; è, insomma, l’alter ego dell’autore. Mostrando tutta la sua superiorità di artista nei confronti della società di massa e dei suoi gusti commerciali, Sperelli-D’Annunzio mostra la sua indifferenza per l’essere o meno conosciuto dal pubblico di tre luoghi: la Sardegna, Orvieto ed Empoli, appunto. La città è dunque vista dal protagonista/D’Annunzio come luogo periferico e anonimo, senza pretese culturali, in cui la popolazione locale avrebbe potuto conoscere le sue opere in modo superficiale e banale, come erano noti (parole di Sperelli) “il confettiere Tizio od il profumiere Caio”.

Non sappiamo quando D’Annunzio fosse effettivamente venuto a Empoli per la visita del Masolino. Certamente non tra il 1910 e il 1912, visto che si trovava in Francia: l’osservazione dell’opera in Santo Stefano, citata ne “Le Faville del maglio”, era insomma nel 1912 il ricordo di qualcosa già avvenuto. Certo il poeta, già al momento della scrittura de “Il Piacere”, doveva conoscere la città, anche solo per sentito dire, visti i suoi studi al collegio Cicognini di Prato.

Non sembra tuttavia difficile comprendere da dove nascesse, accanto all’ammirazione per le opere artistiche conservate a Empoli, questo giudizio non proprio lusinghiero sulla stessa città da parte di D’Annunzio. Empoli, tradizionalmente legata all’industria e al commercio (e tra Otto e Novecento soprattutto alla produzione vetraria) non doveva essere per il poeta un luogo particolarmente sublime, intriso del fascino del passato. Non mancavano tuttavia alcune eccezioni, rappresentate dal patrimonio artistico locale che, oggi come ieri, viene purtroppo troppo spesso sottovalutato o dimenticato dagli stessi empolesi. In seconda battuta la vita culturale locale non poteva certamente essere paragonata a quella di Roma, Firenze, Napoli, Parigi e degli altri luoghi di residenza del Poeta. Da qui una doppia idea di D’Annunzio per Empoli: come città che conservava (e conserva ancora oggi) tesori artistici di rilievo ma inseriti in un contesto in cui la bottega ha spesso avuto più peso delle lettere e in cui gli studiosi locali non hanno saputo valorizzarne il patrimonio.

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