Quando l’abito faceva il …pubblico amministratore

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Uomini in lucco (1452)
da Benozzo Gozzoli, Storie di San Francesco, affresco nella chiesa di San Francesco (Montefalco) fonte: http://artemoda.unibg.it/page.asp?menu1=3&op=491

Come si sa dagli statuti locali, il vertice del comune di Empoli nell’antico regime era costituito dai consoli, dai capitani di parte guelfa e dal consiglio generale, cui verso la fine del secolo XVI si aggiunse la figura del Gonfaloniere. Si trattava di cariche temporanee, rivestite a turno dai cittadini in possesso dei requisiti previsti dagli Statuti (20 anni di residenza in città ed un “estimo”, cioè una capacità contributiva stimata di almeno 2 lire). Non esisteva negli Statuti più antichi alcun riferimento a quello che oggi chiameremmo il “dress code” di questi pubblici ufficiali, cioè nessuna regola da osservarsi per il vestire. Possiamo dunque immaginare, benché nelle epoche più antiche il vestiario rivestisse una particolare importanza come segno distintivo dello status economico-sociale di ciascuna persona, che, quando la campana suonava “a consiglio”, i detentori delle varie cariche si recassero al palazzo comunale vestiti come capitava.

Le cose cominciarono a cambiare nel secolo XVI, quando, in un’aggiunta del 1528 agli Statuti si dice che “per honore della terra d’Empoli, atteso la terra ringentilisca, e’detti statutarii hanno deliberato che l’officio de’ consoli di fuori et dentro, consiglio del comune et popoli, capitani, operai et castaldi et ogni altro officio di decto comune et popolo, ogni volta haranno andare in palazo o altrove, per il loro officio exercitare, sieno oblighati andare col mantello overo cappa o gabbano, senza grembiule, sotto pena di lire 2 per qualunque volta e per qualunque di loro contrafacessi e che e’messi del comune, ogni volta andassino per loro o gli vedranno, sieno tenuti cavarsi la berretta[in segno di deferenza], sotto pena di soldi 10 piccioli per qualunque volta“. Ma a questa deliberazione che, a quanto pare, invitava semplicemente a presenziare alle sedute pubbliche ed alle cerimonie vestiti decorosamente, senza prescrivere un abbigliamento particolare, ne fece seguito un’altra che, a distanza di alcuni decenni intimava: “Che il gonfaloniere, consoli di drento e provveditore si faccino i lucchi”, cioè delle vesti di foggia ben precisa: si trattava infatti di una lunga sopravveste di panno, simile ad una toga, chiusa al collo da grossi ganci o con nastri, che cadeva a pieghe fino a terra, con aperture laterali per lasciar passare le braccia; aveva una fodera di taffettà o altri tessuti leggeri per l’estate, mentre per l’inverno si foderava con pelliccia o velluto.

Uomini in lucco (1452)
da Benozzo Gozzoli, Storie di San Francesco, affresco nella chiesa di San Francesco (Montefalco) fonte: http://artemoda.unibg.it/page.asp?menu1=3&op=491, dettaglio.

Si trattava quindi di un indumento piuttosto costoso. La sua obbligatorietà per i pubblici ufficiali non era peculiare di Empoli, essendo possibile ritrovare norme analoghe in altre comunità del territorio fiorentino e nella stessa città di Firenze, tanto che il lucco era diventato, a partire almeno dal XVI secolo, sinonimo di “abito civile”, indossato da chi era nelle condizioni di poter aspirare alle cariche pubbliche. Benché l’uso di questo indumento fosse quindi divenuto obbligatorio, tanto che, come recitano gli Statuti, “a quelli che non compariranno in luccho nero non sia dato in modo alcuno l’ofizio“, si precisava che esso era “da farseli però di lor proprio, senza spesa nessuna di detto comune”.

Col tempo tuttavia le cose dovettero cambiare, anche se la perdita di molto materiale documentario sull’attività del comune di Empoli non ci consente di precisarne i tempi ed i modi; in ogni caso, pur rimanendo obbligatorio indossare il lucco nelle occasioni ufficiali, in seguito cambiò il suo colore (da nero a rosso scuro), vi si aggiunsero degli ornamenti, fu aumentato il numero di coloro che erano obbligati ad indossarlo, venendone esteso l’obbligo agli ufficiali del Monte pio di Empoli, ma soprattutto si cominciò a farlo confezionare a spese pubbliche e, di conseguenza, alla scadenza del mandato, ognuno doveva riconsegnare la propria divisa al comune. Ne abbiamo testimonianza indiretta in alcuni inventari di mobili e masserizie ancora presenti nell’archivio comunale. Ne proponiamo un esempio, tratto da un inventario del 1787:

Sei lucchi di mantino* color paonazzo per i residenti [nel magistrato comunitativo di Empoli]
Altro lucco simile foderato di rosso, calzoni e corpetto rosso e tracolla con trina a oro e nappa per il gonfaloniere, con un soppanno verde per il corpetto
Un lucco di mantino nero per il sotto cancelliere
Dieci lucchi simili per i ministri del Monte

Tre vestiti di perpignano** diversi color verde, che ognuno consiste in ferraiolo, corpetto e calzoni, che uno per il donzello della comunità e due per i garzoni del Monte
Tre bandierine di seta, che una per il donzello e due per i garzoni.

Ancora in un inventario posteriore, databile verso il 1848 si legge:

6 abiti da priori e 1 da gonfaloniere con sopravveste e tracolla e tutto di mantino rosso cupo e con guarnizione alla tracolla di galloni d’argento dorato ed un abito di mantino nero per il cancelliere ministro del censo
Un piccolo cubo di pietra nel quale è impiombato un ferro atto a pulirsi le scarpe dalla mota (….)
Una piccola cassa ove si contengono i berrettini per i priori, per il gonfaloniere e per il cancelliere.

*= stoffa di seta, simile al taffettà
**= stoffa di lana proveniente dalla città francese di Perpignan

© Vanna Arrighi riproduzione riservata

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